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“Self-made: la vita di Madam C. J. Walker”, la serie Netflix che ci insegna la forza delle donne

08/03/2023 13:09 - Ultimo aggiornamento 08/03/2023 13:54

Vi parliamo, oggi che è l’8 marzo, di “Self-made: la vita di Madam C. J. Walker”, su una storia vera che ha ispirato la serie di Netflix, e che non tutti conoscono. La vicenda di Sarah Breedlove è un emblema della forza delle donne, quella che oggi verrebbe definita resilienza. La sua affermazione, che è narrata nella serie su Madam Walker, disponibile su Netflix dal 20 marzo 2020, ha un valore particolare e può essere una grande fonte d’ispirazione: non solo dovette sfondare il proverbiale Glass ceiling, il Soffitto di cristallo; lo fece da donna afroamericana, in un’epoca in cui le persone di colore in America vivevano ancora marginalizzate e segregate, una vergogna cui si pose fine ufficialmente solo nel 1964 con il Civil Rights Act. Sarah Breedlove, più nota con lo pseudonimo di Madam C. J. Walker, riuscì a diventare milionaria producendo e commercializzando una linea di prodotti per capelli dedicata alle donne nere con l’azienda da lei fondata, la “Madam C. J. Walker Manufacturing Company”. (Continua a leggere dopo la foto)
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La vita di Sarah Breedlove

Sarah Breedlove fu la prima donna libera della sua famiglia: il Proclama di emancipazione fu promulgato dal presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, il 1º Gennaio 1863, prima della nascita della stessa Breedlove, anche se la storia del razzismo negli Stati Uniti, purtroppo, prosegue a tutt’oggi. Sarah Breedlove nacque il 23 dicembre 1867 a Delta, in Louisiana, e morì il 25 maggio 1919 a Irvington, nello stato di New York. Quinta di sei figli, i suoi genitori e i suoi fratelli maggiori erano tutti schiavi in una piantagione a Madison Parish di Robert W. Burney, un ricco possidente che sfruttava ben sessanta schiavi afroamericani. Partendo dai lavori più umili – lavandaia, contadina, domestica e governante – realizzò l’American dream con la sua intuizione commerciale, di cui parleremo in un apposito paragrafo. Una storia di empowerment femminile, come dicono negli Stati Uniti. Ma il percorso che dovrà seguire sino alla definitiva affermazione fu lungo e complesso. Dopo la morte dei genitori, Sarah andò a vivere con la sorella maggiore, Louvenia, e il cognato, Willie Powell. Per sfuggire ai maltrattamenti di quest’ultimo, a soli 14 anni, sposò Mosè McWilliams, da cui ebbe una figlia, Lelia. Ancora una volta, però, il destino era in agguato e quando Sarah aveva appena vent’anni morì anche suo marito, lasciandola sola e con una bambina di 2 anni. Chiunque, a questo punto, si sarebbe scoraggiato e lasciato andare. Ma ecco che la forza delle donne, quella sorta di resilienza cui abbiamo accennato, cambiò la sua sorte: grazie ai prodotti per capelli, divenne milionaria e si affermò tanto come imprenditrice che come filantropa e attivista dei diritti civili della comunità afroamericana. (Continua a leggere dopo la foto)

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Sarah alias Madam C. J. Walker, il successo imprenditoriale

I capelli erano, dapprima, sempre stretti in fasce sino a che, per la tensione e la fatica e per la mancanza di cura, cominciarono a cadere. Poiché la maggior parte degli americani non avevano acqua corrente, riscaldamento ed elettricità, facevano il bagno e lavavano i capelli di rado. I prodotti per la cosmesi dei capelli, in realtà, esistevano già ed erano commercializzati da Annie Malone, un’altra donna afroamericana, che assunse Sarah come venditrice. Fu lei, però a ottimizzare al massimo questo genere di attività e trasformarla in una storia di riscatto sociale. Si mise in proprio e iniziò a commercializzare i suoi prodotti come Madam C. J. Walker. Partì vendendo lei stessa il suo “Madam Walker’s Wonderful Hair Grower” porta a porta. “Ci umiliano, ci chiamano brutte, ci fanno sentire brutte. Capelli fantastici creano fantastiche opportunità“: questo lo slogan efficacissimo con cui si propose alla donne di colore degli Stati Uniti. Pian piano, difatti, ampliò le vendite a tutto il Paese. Sua figlia Lelia gestiva la vendita per corrispondenza da Denver, mentre Sarah/Madam C. J. Walker e il nuovo marito, Charles Joseph Walker, viaggiavano in tutta l’America, particolarmente negli stati orientali e meridionali. Nel 1910 la Walker si trasferì a Indianapolis, dove stabilì il suo quartier generale e costruì una fabbrica per produrre i cosmetici: essi erano a base di zolfo per mantenere il cuoio capelluto sano e favorire la crescita dei capelli. Si diffusero anche nei Caraibi. Oramai affermatasi e ricchissima, assieme alla famiglia, Madame C. J. Walker, come era oramai conosciuta, si trasferì a Irvington, nella contea di Westchester (New York) nella bellissima Villa Lewaro: il nome fu un’idea di Enrico Caruso, il grande tenore che era un suo amico, usando le prime due lettere del nome della figlia LElia WAlker RObinson. (Continua a leggere dopo la foto)

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Il trailer di “Self-made: la vita di Madam C. J. Walker”

L’attivismo politico

Negli ultimi anni della sua vita, Madam Walker si occupò di politica e delle condizioni della comunità nera. Invitata al meeting della National Negro Business League a Chicago nel 1912, pronunciò un discorso passato alla storia: “Sono una donna che proveniva dai campi di cotone del sud. Sono stata promossa lavandaia. Poi sono stata promossa cuoca e da lì mi sono promossa da sola nel mondo degli affari ideando e realizzando prodotti per capelli”. Nel 1918, al congresso biennale della National Association of Colored Women (NACW), venne ufficialmente ringraziata per aver contribuito a preservare la casa dell’abolizionista Frederick Douglass ad Anacostia, nel distretto di Washington, e farne un museo. La donna, ogni anno, spendeva 10mila dollari (dell’epoca, dunque una cifrra cospicua) per la formazione di giovani neri nei college del sud e inviava sei giovani al Tuskegee Institute, un’università privata, storicamente frequentata dalla comunità afroamericana, situata in Alabama.

Octavia Spencer, la protagonista di “Self-made: la vita di Madam C. J. Walker”

Octavia Lenora Spencer, nata a Montgomery, capitale dell’Alabama il 25 maggio 1970, ha vinto il premio Oscar come miglior Attrice non protagonista, nel 2011, per la sua interpretazione nel film “The Help“, per il quale ha vinto anche: il Golden Globe per la migliore Attrice non protagonista, il BAFTA alla migliore attrice non protagonista e due Screen Actors Guild Awards (miglior cast, miglior Attrice non protagonista). Proprio come il personaggio che nicarna nella serie, ha dovuto farsi forza per affermarsi nel mondo. Sesta di sette figli, suo padre morì quando aveva 13 anni mentre sua madre quando ne aveva 18. Laureatasi presso l’Università di Auburn in Alabama, ha esordito con un piccolissimo ruolo nello spettacolo teatrale The Love, debutta nel 1996 nel ruolo di un’infermiera nel film di Joel Schumacher Il momento di uccidere, tratto dall’omonimo romanzo di John Grisham.Nel 2008 è anche apparsa nel film Sette anime, di Gabriele Muccino. È apparsa anche in diverse serie televisive, tra cui citiamo Medium, The Big Bang Theory e NYPD Blue.

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FONTI

Netflix, Today, la Repubblica