Woman of the hour, la storia vera di un serial killer nel film Netflix – Il film d’esordio alla regia di Anna Kendrick (che ne è anche la protagonista principale), porta sullo schermo una vicenda tanto inquietante quanto reale. Questa storia racconta di come Rodney Alcala, uno dei più pericolosi serial killer d’America, sia riuscito a partecipare a un popolare dating show televisivo, The Dating Game, senza che il pubblico, né tantomeno i produttori, sospettassero il suo terribile segreto. La Kendrick non solo ci offre uno sguardo su una vicenda scioccante, un thriller psicologico in piena regola, ma racconta anche un’epoca, gli anni Settanta, in cui le denunce delle donne spesso venivano ignorate. [TRAILER in fondo]
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Tra realtà e finzione
Nel 1978, Rodney Alcala si presenta come “pretendente numero 1” a The Dating Game. Con il suo aspetto affascinante, il sorriso disinvolto e una parlantina che ben si adatta al contesto televisivo, Alcala riesce a impressionare Cheryl Bradshaw, la ragazza alla ricerca di un appuntamento. Alla fine della puntata, Cheryl sceglie proprio lui tra i pretendenti, ignara della vera natura dell’uomo che aveva di fronte. Nel film di Anna Kendrick, Rodney Alcala è interpretato da Daniel Zovatto e appare come “pretendente numero 3”, un dettaglio diverso dalla realtà che serve però a ricordare allo spettatore quanto la verità possa essere ancora più sconvolgente della finzione. Il film non si limita alla storia del dating show, ma racconta anche il lato oscuro di Alcala e i suoi metodi manipolativi e crudeli, rendendo omaggio alle vittime e alla sopravvissuta Cheryl Bradshaw, che, grazie al suo intuito, evitò un tragico destino. Woman of the Hour è un film che solleva interrogativi sul sistema giudiziario e sulle difficoltà delle donne nel far valere le proprie voci in un periodo storico dominato dal pregiudizio e dall’indifferenza. (Continua a leggere dopo la foto)
Chi era Rodney Alcala
Rodney Alcala, mentre appariva sorridente in TV, era già sospettato di numerosi crimini violenti, tra cui aggressioni e omicidi. Tuttavia, nessuna delle accuse pregresse riuscì a fermarlo: nel periodo in cui prese parte a The Dating Game, Alcala era già un predatore seriale, accusato successivamente di un numero indefinito di omicidi, con sospetti che arrivano a oltre 130 vittime. Il film ci permette di seguire Cheryl Bradshaw e la sua intuizione che, per fortuna, la portò a rinunciare all’appuntamento con Alcala. In un momento di tensione crescente, Cheryl espresse il proprio disagio alla produzione del programma, definendo il “pretendente numero 1” come una persona “strana” e dalle “vibrazioni inquietanti.” Questo suo intuito le salvò la vita, e oggi rappresenta una delle poche occasioni in cui una potenziale vittima è riuscita a sfuggire al pericoloso serial killer. (Continua a leggere dopo la foto)
Un affresco degli anni Settanta
Il film esplora non solo la storia di Alcala, ma anche un momento buio nella storia della sicurezza e dei diritti delle donne. La Kendrick riesce a raccontare un’epoca in cui la giustizia spesso non era dalla parte delle vittime. La storia, infatti, mostra come le donne che denunciavano molestie e violenze venissero frequentemente ignorate, consentendo a uomini come Alcala di vivere impunemente. Nel film, vediamo anche una delle sue giovani vittime, che sopravvisse per un soffio a un tentativo di sequestro. Questa vicenda reale illustra come, nonostante le gravi accuse a suo carico, Alcala riuscisse a muoversi liberamente senza che le sue azioni venissero adeguatamente punite. (Continua a leggere dopo la foto)
Una storia terribilmente vera
Fino all’ultimo fotogramma, Woman of the Hour ci ricorda il dolore di chi è sopravvissuto e di chi, come Cheryl Bradshaw, si è salvato grazie all’istinto. Tuttavia, il film lascia volutamente aperte domande scomode, mostrando come il male possa talvolta insinuarsi nelle vite di persone ignare. Anna Kendrick, con una regia delicata ma intensa, non affonda ulteriormente nella brutalità dei crimini di Alcala, forse consapevole che di fronte a storie come queste, c’è un limite oltre il quale la narrazione deve lasciare spazio alla riflessione umana. (Continua a leggere dopo la foto)