
Nel cuore gelido dell’Artico canadese, North of North sorprende per la sua capacità di raccontare una storia calda, umana e profondamente radicata nella cultura inuit. Si tratta della prima serie originale canadese prodotta da Netflix, e ci porta in un luogo raramente esplorato dalla narrazione mainstream. Un successo immediato, testimoniato tanto dalla costante presenza in Top 10 sin da quando è uscita quanto, soprattutto, da un’eccellente 100% di punteggio della critica sull’aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes, che dà il polso di un successo forse insperato.
E allora ecco la nostra recensione, alla scoperta dei punti di forza della sorprendente miniserie che arriva dal freddo. [TRAILER in fondo]

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Facciamo un passo indietro
Facciamo, brevemente ma doverosamente, un passo indietro per inquadrare un microcosmo realistico reso da una trama intrigante: ambientata nella fittizia Ice Cove, ispirata a Iqaluit (capitale del Nunavut), la serie segue Siaja, una giovane donna inuit – gli inuit sono gli originari abitanti delle regioni costiere artiche e subartiche dell’America settentrionale e della punta nordorientale della Siberia – che, dopo aver lasciato il marito, tenta di ricostruire la sua vita insieme alla figlia. Sicché North of North esplora temi come identità, appartenenza e emancipazione femminile, mantenendo sempre un tono leggero, ironico e rispettoso.

La nostra recensione
Il vero punto di forza di North of North è la capacità di rendere una minuscola comunità del Circolo Polare Artico uno specchio vibrante di tematiche universali, dove convivono identità, maternità, amori irregolari, ferite coloniali, dinamiche familiari, fede, il peso dei legami e parimenti quello del giudizio sociale. La miniserie è un soggetto originale, ma si ispira fortemente alle esperienze e alla cultura delle comunità inuit. Creata da Stacey Aglok MacDonald e Alethea Arnaquq-Baril, entrambe inuit, è un atto d’amore verso una comunità spesso ignorata, e un racconto sul diventare chi si è davvero. North of North è una piccola gemma, in definitiva. La miniserie riesce a evitare l’esotismo e l’effetto “cartolina”, restituendo l’Artico come un luogo vivo e pieno di contrasti.
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Colpisce soprattutto la rappresentazione autentica della cultura inuit, nonché l’equilibrio tra umorismo e profondità emotiva. La qualità visiva e la scelta di girare in esterni reali, inoltre, sono tra i principali punti di forza di questa produzione. La regia è attenta a mostrare l’isolamento come condizione esistenziale, ma anche la resilienza come forma di bellezza. La scrittura è delicata ma mai banale, e le relazioni – familiari, sociali, intime – sono raccontate con ironia, tenerezza e sincerità.

Le recensioni della critica
Già abbiamo citato l’eccezionale punteggio della miniserie su Rotten Tomatoes, e anche IMDb, altra bibbia del cinema e dello streaming, assegna un ottimo 7,8/10. Infine, seguono tale scia anche le recensioni critiche su Metacritic, per un punteggio del 78%.

