
Se pensate di aver già visto ogni tipo di thriller, lascia che ve lo diciamo subito: The Beast in Me vi catturerà come nessun’ altra serie TV o film degli ultimi anni. Non solo per la presenza di due interpreti di rilievo come Claire Danes e Matthew Rhys, ma perché, oltre al mistero, colpisce una parte di te che spesso rimane nascosta per poter andare avanti nella vita. Evidentemente, da produttori di rilievo come Jodie Foster e Conan O’Brien, non potevamo non aspettarci che un fragoroso successo: quello che vede The Beast in Me in Top 10 su Netflix sin dall’indomani del suo rilascio.
La miniserie inizia in modo calmo, quasi ingannevole. Ma si percepisce subito che qualcosa si agita sotto la superficie; che tutto è permeato da tensioni non espresse. Aggie Wiggs, magistralmente interpretata da Claire Danes, è un personaggio che lascia il segno non tanto per quello che dice, quanto per ciò che non può esprimere. Ricorderà a molti un momento in cui si è perso qualcosa di importante, eppure si è continuato a vivere, anche se una parte di sé è rimasta ferma.
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Ciò che colpisce maggiormente nella serie è il modo in cui affronta il dolore. Non come un evento isolato, ma come uno spazio in cui si vive. Aggie non scrive più, non sogna più, non respira come dovrebbe da quando ha perso suo figlio. Chi ha mai provato un vuoto emotivo inspiegabile sentirà questa realtà in modo quasi palpabile.
Entra allora in scena Nile Jarvis, interpretato da Matthew Rhys: enigmatico, distante e al tempo stesso magnetico. Ma non aspettarti una storia d’amore. Tra loro non c’è affetto, bensì una frattura. Un terreno condiviso fatto di vergogna, rimorsi, menzogne, voci e tragedie personali. Probabilmente anche il lettore conoscerà qualcuno che lo ha attratto non per la sua bontà, ma perché vedeva in lui o lei quella parte di sé che preferisce non riconoscere.

Quello che riesce a fare magistralmente Bestia din mine è farti chiedere, episodio dopo episodio, quale maschera indossi davanti agli altri. Tutti ne indossiamo una, a volte per proteggerci, altre per apparire più forti, altre ancora per non tradirci davanti ai nostri pensieri più oscuri.
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Forse senza volerlo, la serie ci invita a un dialogo con noi stessi, in una sorta di autoanalisi. Su cosa significhi soffrire; su quanto facilmente si possa diventare prigionieri di una bugia detta per sopravvivere; su quanto fragile sia l’equilibrio tra chi siamo e chi potremmo diventare se la bestia emergesse dalla nostra oscurità.
Ma non temete: nonostante tali premesse, non è una serie che ci lascia come “svuotati”. È intensa, certo, ma anche profondamente umana. Racconta di persone che si perdono, si aggrappano, sbagliano e cercano un senso. E di come due individui possano diventare specchi l’uno per l’altro nei momenti più imprevedibili.

Inoltre, The Beast in Me funziona perfettamente anche come thriller psicologico puro: cresce la tensione, si intrecciano giochi di potere, giornalismo, politica, verità parziali e segreti che ti fanno capire che la verità non si trova mai dove la aspetti. Ma ciò che la rende diversa da molte altre è proprio questo invito a percepire l’umanità imperfetta dei personaggi. Non è necessario sapere nulla in anticipo. Non serve indovinare i colpevoli. Dobbiamo solo essere pronti a sentire.
Se ti riconoscerai almeno in uno sguardo di Aggie o in un silenzio di Jarvis, sappi che non è un caso. Perché The Beast in Me, disponibile ora su Netflix, non è solo una serie. È una confessione silenziosa di chi siamo quando la vita rompe qualcosa dentro di noi — e di come scegliamo di andare avanti.

